Il saggio: L’Anima di Roma

L'anima di Roma scritto da Fabian Santo CarusoCome definirla, come descriverla, come parlarne? L’anima di una città, l’anima di Roma. Chiaro e oscuro, contrasti, luci e ombre. L’anima è come un quadro – senza cornici, emerge ed esce tutto e niente, adesso e mai. Una costruzione non-fisica, essenziale e compatta, qualcosa che non è tangibile, ma che si sente e si respira, che si vede ma non si guarda. Potrebbe essere come il nocciolo di un frutto, è la parte che crea il frutto, che lo fa crescere, gli dà quelle caratteristiche specifiche, lo accompagna durante la sua vita: e il nocciolo continua ad esserci pure quando il frutto va a male, muore e perde la sua forma originale, quando il frutto cambia colore fino a diventare un ammasso nero, non più un frutto ma cellule senza vita. Il nocciolo resiste – e anzi, crea nuova vita, come se il frutto rivivesse un’altra volta. Questa potrebbe essere la definizione di anima, riferita ad una città, ad un essere umano. Il ciclo della vita e la continuità sempiterna, due facce della stessa medaglia, il circolo fluttuante dell’adesso e del mai, nell’adesso e mai.

Credo che più che parlare dell’anima di Roma, è da scoprire, vivere e scalfire l’anima di Roma, la sua essenza più pura. Quando parliamo di Roma ci vengono in mente tante cose, belle e brutte, note e meno note, note e musica, odori, sguardi, ricordi, tempi, momenti, emozioni, sentimenti, illusioni, luci, colori, visi, visioni, viste, vie, magia – ognuno ha la sua visione della stessa cosa, la stessa anima anima diverse e divergenti punti di vista, ma non per questo non possono coabitare su piani diversi di percezione, di visione, di vita. Il ridondante, così presente nella vita moderna perennemente condivisa su social, non trova spazio all’interno del concetto di anima, di essenza, di flusso invisibile di ciò che si muove e muove le cose. Perché si tratta di pura essenza, l’essenziale di cui parlare pure tra mille anni a mille miglia di distanza da qui, si protrae solo ciò che compone l’indefinibile che è sotto gli occhi di tutti: il tutto che contemporaneamente combacia con il nulla intangibile.

Intrappolati in questa non-realtà fin troppo reale, non ci sono vie di fuga logici e definitivi a cui aggrapparsi. Ciò che si è si è stato e si sarà, qui o altrove. Oggi e domani. Una morsa di codici bianchi e parabole in decadenza che avvolgono l’essere, il verbo essere dell’essere umano. Quello che ci sembra stabile e fisso si annulla da solo con il tempo – un ciclo perpetuo mosso da un deus ex macchina fermo sull’orizzonte rosso. Il crepuscolo dell’umanità come quello della città: colori si sciolgono in un mare di certezze dubbie e idee fallaci, cuori umani.

Il sesso, le orge, la violenza, la passione, le ossessioni, i soldi, l’amore: la somma converge in quel punto indefinito e indefinibile che ne è il punto d’arrivo e paradossalmente pure il punto di partenza, torniamo al ciclo a-logico del prodromo che anticipa l’evento anche non esistendo. C’est ici que tout se passe. Qualcosa di sotterraneo, anche se si trova in superficie, qualcosa di leggero anche se è pesante come piombo, qualcosa che resta in perpetuo movimento, anche se è immobile. Roma è la sperimentazione viva delle mille sfaccettature umane, in-umane e disumane, la mela rossa rutilante, ma da sempre in via di dissolvimento: la dissoluzione crassa ed illibata da cui questa città trae la linfa e il succo per vivere e sopravvivere. L’asperrimo frutto che si pone al di sopra e al di sotto del momento di esistenziale assenza presenza, dalla nascita alla morte, vita e decomposizione. Il presente, con l’idea di turlupinare se stesso, in fin dei conti viene assorbito dal suo futuro e privato del suo futuro, contestualmente invertito nel suo passato.

Roma non ha logica, Roma è a-logica. Si basa su non-regole, su non-idee, su non-comunità, su non-passione, su non-creatività, dando vita ad una non-vita, più simile ad un sogno, un incubo, un imbuto di melma di vissuto quotidiano che cerca di fare ordine del suo caos ordinato. Roma si auto-assolve con le parole e il muoversi delle strade e si auto-dissolve con le stesse parole e lo stesso muoversi delle strade, il cupio dissolvi più vero, iper-vero e perciò non più veritas ma a contrariis, bugia integerrima, calunnia della falsità e specchio dell’esistenza creduta-vissuta ottenebrata da se stessa.

Il denaro e la politica, le periferie e la vita, il reale paradosso e la irreale soggettività, gli interessi personali e gli interessi personali (che si pagano in una sinfonia di budget e default), la decomposizione circolare dell’essere (del vivere, del respirare, dell’essere insomma) e la composizione irregolare dell’essere (umano e quello che ne rimane). Dalle notti con aria fangosa al nulla della tangenziale alle 23:22: se Roma ha un’anima che la anima, deve trovarsi esattamente ovunque e in nessun luogo, sia perché in realtà non esiste materialmente nella nostra percezione e sia perché non esiste soggettivamente per come si svolge vita, non-vita e vita ultraterrena: ma c’è. Progressivamente si distende su un livello orizzontale, come se fosse uno strato dei tanti strati che compongono l’essenza di Roma. I vari strati di cui è composto il momento poco prima del futuro e immediatamente dopo il passato, quell’attimo sempre vivo, ma subito morto, subito scomparso, subito non più subito ma subito dopo, subito mai. Questa distesa inesistente, come pure tutto quello che crediamo esistente, si de-materializza in una sostanza che racchiude il tutto nel qui e ora, qui e ora.

Utopie non possono sfociare in quel reticolato urbano denominato Roma. La realtà-paradosso che ne ha preso possesso è inevitabilmente consapevole del suo presente, togliendo ogni visione del dopo e prima. Fattori effimeri che non riguardano l’adesso e che si pongono al di fuori dalla vista logica: logica per l’illogica logica dell’oggi come centro esistenziale. Perciò non esiste il futuro e neanche futuro: il futuro non si dispone sul piano mentale, ma su quello onirico. Il futuro come sogno nel sogno, quello che sono e che sarò. L’anima di Roma, il presente presente in questo preciso istante, non oltre ma sempre oltre.

Ecco il testo letto:

Il saggio: L’Anima di Roma

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